Theo, il dono

Io lo avevo visto, sì, quell’annuncio. Ma avevo fatto scorrere velocemente il mouse per non guardare di più. Il mio cuore appena spezzato non poteva reggere, mi faceva male, provavo davvero un dolore sordo in mezzo al petto.

Joy, la mia Bulldog di nove anni e mezzo, la mia compagna, il mio spirito guida, la mia complice, amica, sorella, madre, se ne era andata tra le mie braccia solo due giorni prima, dopo una settimana di sofferenza indicibile sopportata con dignità e pudore, e di cure inutili contro un tumore fulminante al cervelletto.

In quei suoi ultimi attimi avevo rivissuto lo shock della morte di Lulù, la mia prima meravigliosa Bulldog, pensando stupidamente di essere tragicamente preparata a quel puf che spegne in un secondo il grande cuore di questi cani e che ti lascia nel vuoto più totale, in un silenzio insopportabile che parla di sogni, amore, magia, senso di appartenenza, allegria, follia perduti per sempre.

Chi ama il Bulldog lo sa che dal primo momento che ce l’hai fra le braccia temi che debba morire da un momento all’altro. Per 10 anni con Lulù e 9 e mezzo con Joy, non è passato giorno per me senza quel pensiero… Ma il Bulldog ti insegna anche a sdrammatizzare, a guardare oltre, a fare del viaggio pur breve con te un bagaglio d’amore preziosissimo, totalizzante: non piangere se ora me ne devo andare, l’importante è che ci siamo incontrati e siamo stati insieme.

Quando un Bulldog vola via, quel bagaglio d’amore è troppo pesante e va destinato a una continuità che dia il senso di una perdita incolmabile. Ho sempre creduto alla leggenda inglese che vuole destinare l'ampio torace dei Bulldog al contenimento delle anime dei cani della nostra vita. Un'unica anima in realtà che, vivendo il cane molto meno di noi umani, trasmigrerebbe in un altro per poterci accompagnare nel percorso della nostra vita.

A Joy avevo promesso che dopo di lei avrei cercato la sua anima in un Bulldog abbandonato, anche anziano così, dandomi tempo, senza fretta, iniziai quasi subito a valutare i post dei rescue di razza con il pensiero agli altri due cani di casa, una dei quali molto problematica: salvata da una perrera spagnola, con alle spalle una storia di violenza, è sempre stata molto ostica a Joy. L'altro, invece, un tenerissimo Yorkie, in pieno lutto per la perdita della sua compagna.

Tornando a quell’annuncio, sì, l’avevo visto e sfuggito con terrore. Anzi, era stato il primo che avevo visto. Dalla mia rapida occhiata, il cane sembrava vecchio, malato, con le unghie lunghissime, ricoperto di rogna demodettica, con gli occhi cisposi… Via via, scappa, mi sono detta senza leggere nemmeno una parola del post.

In quella primissima ricerca, individuai un cane che poteva essere adatto alla mia situazione familiare, così mandai una mail per avere più info. La risposta arrivò immediatamente: ero talmente in palla che non avevo collegato l'indirizzo di Amantibulldog Italia con Anita Pilutza, amica in Facebook, della quale solo pochi giorni prima avevo seguito e condiviso la straziante perdita del suo Bulldog. Non importa se ora chi legge può pensare che sono una visionaria, perché è vero, lo sono. Con le mie Bulldog ho molto allenato quel canale sensoriale atavico, infantile, che troppo spesso trascuriamo, e per questo da quel momento ho sentito tra Anita e me attivarsi legami d'intesa profonda. Mentre io le chiedevo informazioni del cane per il quale le avevo scritto, infatti, con una dolcissima determinazione, con una convinzione discreta ma ferrea, lei continuava a spostare la mia attenzione proprio su quel post che avevo sfuggito con tutta me stessa. Mi spinse a guardare le immagini e a leggere la storia di Bolt: ancora cucciolo, sordo dalla nascita, abbandonato per sei mesi in una cassa su un balcone, solo, ferito dall'altro cane di casa e mai curato. Quelle foto naturalmente mi straziarono. Piansi, ma per la prima volta dal suo ultimo volo, non per Joy. Piansi per Bolt, per tutti i cani e gli animali vittime di tanta orribile violenza mentre il muso sorridente di Joy si sovrapponeva nella mia mente a quello distrutto dalla demodettica di Bolt, lo sguardo limpido e felice della mia cagnolona a quello rassegnato e spento di quella povera creatura... Scoprii che Bolt era stato recuperato proprio il giorno della morte di Joy e mi parve un preciso segnale del mio cane. Volevo andare a conoscerlo, ma allo stesso tempo non volevo. Mi dibattevo tra la confusione emotiva più incontrollata e il panico di non farcela.

Fu ancora una volta Anita a propormi di trovarci la mattina dopo al rifugio di Forza Rescue Dog a Varese che lo ospitava. Senza alcun impegno, aggiunse. La sera stessa inviai la cartella clinica di Bolt al mio veterinario, lui mi rispose con un messaggio Whatsapp: "È un bel casino, ma sento che è già nostro. Portalo a casa, lo tireremo fuori". Subito a seguire, me ne mandò un altro: "La nostra amica ha fatto in fretta a segnalarci chi deve prendere il suo posto". Anche questo messaggio, così insolito per l'uomo che è il mio veterinario - sensibile certo, ma anche molto pragmatico e realista - mi arrivò dritto nell'anima come un secondo segnale forte di Joy.

La mattina seguente quando con mio marito arrivammo al rifugio, dal cancello individuai subito Bolt in mezzo agli altri cani. Da dietro. Quella schiena incurvata, quelle zampe incerte, quelle lesioni su tutto il corpo... Nel mio cuore in un secondo era già scoppiata una bomba d'amore, senza nemmeno guardarlo negli occhi. Gli occhi che sono arrivati subito dopo a bucarmi l'anima, quando con il muso in su si è appoggiato alle mie gambe: occhi dolcissimi e profondi, tristi, consapevoli e rassegnati, ma pronti a cercare fiduciosi un aggancio in quelli di chi fosse disposto ad accoglierlo per la vita. C'era Anita e c'era Sanja Caputo-Jevremovic di Bulldog Ticinesi, c'erano le ragazze meravigliose di Forza rescue Dog che gli avevano prestato le prime cure, e credo che tutti abbiano capito dal primo momento che Bolt era già mio. Ho potuto ritirarlo solo cinque giorni dopo per motivi di lavoro improrogabili che mi avrebbero impedito di dedicarmi totalmente a lui e in quell'intervallo di tempo sospeso, ogni pensiero per Bolt era come una carezza al mio dolore. Sentivo che io avrei curato le sue ferite nel corpo e nell'anima, ma che lui fin da subito aveva già iniziato a ricomporre i pezzi del mio cuore. Joy era lì, sempre lì: mi aveva spinto lei da Bolt con poderose sederate astrali, senza perdere troppo tempo. La potevo vedere vicino a me "sorridere". Bolt per me è diventato Thèodoros-Theo. Un'amica poco tempo prima, mi aveva mandato il significato di un nome che mi aveva colpito: l'aramaico Tadday, che deriva dal greco Thèodos e Thèodoros, con il significato di "dono di Dio". Era lui, era il mio Theo-dono di Dio e dono di Joy. L'ho già detto, sono una visionaria, con i miei Bulldog ho sempre dialogato su un piano onirico-archetipico e la sera prima di andare a prendere Theo, sognai Joy. Bella, cucciola e vivace che correva in una strada. Io la chiamavo, ma lei non mi sentiva perché era sorda. Ero disperata quando la persi di vista e dovetti tornare a casa. Quasi subito la sentii abbaiare sotto la finestra. Mi precipitai e la vidi immersa in una luce multicolore, il muso alzato, gli occhi inchiodati nei miei. Poi con uno scatto si girò e sparì nel vuoto.

Con Theo, l'ultimo dono di Joy, ora abbiamo iniziato il nostro viaggio. Le sue paure si perdono nei miei abbracci, le sue ferite di corpo e anima sono affidate alle mie mani e al mio cuore. Lui si è inserito subito fra noi con una dolcezza e un equilibrio impensabile pensando al suo orribile passato. E quando lo guardo dormire nella cuccia di Joy, so che è sempre stato qui.

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