Condivido con voi l'articolo che ho scritto quattro anni fa per il blog della mia amica Susanna Barbaglia IO LEGGO CON JOY, vi racconto come Aldo è arrivato a casa nostra, dato che siete in molti nuovi qui nella famiglia Bullfit e spesso mi chiedete come mai abbia quelle cicatrici sul corpo. Io non le vedo più, vedo solo un meraviglioso bulldog con inserti in velluto di seta francese, il più pregiato al mondo.
"Nuova notifica: sei stata taggata su Facebook. Apro e resto di sasso: un Bulldog inglese carbonizzato sul ciglio di una strada, un rigagnolo di sangue dal naso. Sembra morto. Leggo il post, è grave ma grazie al cielo è ancora vivo.
Scorro subito gli oltre cento commenti, sono angosciata, ma vedo che le ragazze di EBRI sono state taggate. Non ho il minimo dubbio che quel bulldog inglese avrà le migliori cure possibili perché gli angeli dei bulli si erano già messi in contatto con l’Asl veterinaria a cui era stato trasferito in ambulanza.
Continuo a cercare sulla pagina Facebook gli aggiornamenti. Compaiono le prime foto. Io sono sconvolta: le ferite sono enormi, nere, la carne sembra putrefatta una volta che è stata rimossa la pelle necrotica. Il povero bulldog non riesce nemmeno ad alzarsi e a tenere gli occhi aperti. Ma ha tanta fame. È sicuramente un buon segno.
Per qualche giorno cerco notizie di Aldo - così l’ha chiamato EBRI - come prima cosa appena sveglia durante la colazione. Aldo è stato recuperato da persone di fiducia e trasferito presso la clinica di appoggio di Ebri. Riceve le prime cure, sente le prime mani amiche che finalmente accarezzano dolcemente il suo bellissimo testone. È magro, provato, ma è davvero un gran bel bulldog. Passano circa due settimane, poi Maria Giovanna, una delle ragazze che facevano parte dell’associazione, mi scrive che sarebbe partita per la Sicilia, d’accordo con le sue colleghe, per recuperare Aldo.
Sapete quando sentite qualcosa dentro che ha l’effetto della calamita sul ferro? Ecco, senza esitare un secondo le scrissi una risposta brevissima “Vengo con te”.
Mi era già capitato in passato di dare un passaggio in auto o di recuperare un Bulldog dai proprietari cedenti, sempre dietro chiarissime indicazioni di quella bellissima ragazza con i capelli lunghi, ma mai di imbarcarmi in un viaggio come fu quello fatto per Aldo. Partimmo dall’aeroporto di Napoli di sabato mattina prestissimo, un anno fa esatto, proprio oggi. Nonostante tutti i passeggeri dormissero, io e lei chiacchierammo e ridemmo per tutto il volo che fu una brevissima e intensa turbolenza unica di circa quaranta minuti. Arrivate in Sicilia, la ridente terra del sole, ci aspettava un vero e proprio nubifragio. Chiaramente non avevamo l’ombrello e arrivammo al desk dove avremmo ritirato l’auto a noleggio completamente fradice. Ma non avevamo perso il sorriso. 500 L grigia scura. Ci piace! Maria Giovanna si mette alla guida. Io faccio da navigatore. «Dice 45 minuti Gio, non ci metteremo molto». Eravamo emozionate, ansiose di riuscire a portare quel bullino di cristallo a destinazione vivo, perfettamente equipaggiate con materassino specifico antidecubito, amaca da posizionare sul sedile posteriore, traverse, bende e fasce. Io avevo il cuore che batteva a mille. La strada scorse veloce, il cielo era plumbeo e non prometteva niente di buono, ma aveva smesso di piovere. Uscite dall’autostrada, gli ultimi chilometri li percorremmo sperando che l’auto non si fermasse perché l’acqua del mare e, forse, di qualche torrente circostante, aveva invaso completamente la strada. Nonostante la velocità decisamente contenuta, passando in queste immense pozzanghere si alzavano pareti d’acqua che superavano abbondantemente l’altezza del nostro veicolo. Ma nulla ci avrebbe fermato. Sono certa che saremmo andate anche a nuoto a prenderlo. Arrivammo. Ci fecero entrare e la scena che mi si parò davanti agli occhi mi provocò un dolore così forte al cuore e alla bocca dello stomaco che raramente ho provato. Maria Giovanna si buttò in ginocchio, in lacrime e gli accarezzava la testa ripetendo «Aldo, ma che ti hanno fatto». Io ero rimasta sulla soglia. Il telefono in una mano che tremava come una foglia, l’altra davanti alla bocca, nella tipica espressione di chi non crede ai suoi occhi. Le lacrime scorrevano come l’acqua da rubinetti con guarnizioni usurate. Non avevo mai visto nulla del genere in vita mia. Nonostante tutto il dolore che trasudava da ogni sua cellula, Aldo era bellissimo. E Dio solo sa quanto mi ricordasse la mia adorata Sole. Mi chinai dopo quello che mi parve un tempo infinito e lo accarezzai «Ciao Aldo, ti portiamo a casa adesso». Furono le prime parole che pronunciai. Ignorando che quella non era una frase detta tanto per dire, ma che sarebbe diventata una promessa. Salutammo la responsabile della clinica che si era presa cura di Aldo per i primi tempi e che a stento tratteneva le lacrime, e baciammo tutti i bullini siciliani di Ebri: Petronilla, Nunzio, Lillo…
Sistemammo Aldo in auto. Il sedile posteriore divenne un letto morbidissimo. Lui giaceva immobile. Gli occhi chiusi, la testa abbandonata quasi come su una nuvola con l’atteggiamento di chi si sta lasciando andare.
Raggiungemmo Messina dopo circa un’ora e mezza di viaggio. Maria Giovanna parcheggiò la nostra 500 e scese ad acquistare i biglietti per il traghetto. Non avevo mai attraversato lo Stretto. Ci portammo verso il molo. Aldo continuava a dormire, il respiro impercettibile, e io che mi voltavo a guardarlo accertandomi che fosse ancora vivo, ma non osavo chiamarlo, quasi mi sembrasse di profanare il suo riposo.
Dopo una decina di minuti arrivò Maria Giovanna che aveva comprato “qualcosina” da mangiare. Lei è uno scricciolo fisicamente, come lo sono anche io, ma la sua natura partenopea, di contro alla mia nordica, le aveva fatto fare quella che per me era “la scorta di viveri per una settimana”. Mi venne da ridere. Arrivò il traghetto, non aveva il ponte all’aperto dove poter parcheggiare l’auto, ma solo i garage chiusi e bisognava quindi lasciare l’auto e scendere. Aldo non poteva certo essere spostato, quindi decidemmo di attendere quello successivo che era quasi arrivato sul molo della costa che si stagliava chiara di fronte a noi, nonostante le nuvole scure fossero sempre lì, a occupare lo spazio azzurro del cielo. Attendemmo altri venti minuti, più o meno. I responsabili del porto ci fecero salire per primi, avevano visto “u cane” e ci scortavano, quasi anche loro condividessero quanto prezioso fosse il nostro carico. Parcheggiammo a prua, a babordo, aprimmo i finestrini e la portiera posteriore. Aldo per la prima volta alzò la testa e aprì gli occhi. Quanta speranza colsi in quello sguardo, ma rimasi scioccata dal suo occhio sinistro, aveva una sorta di cratere in mezzo. Il fuoco era arrivato probabilmente anche lì. Cambio guida, presi io il volante, scendemmo dal traghetto con i marinai che ci salutavano e ci facevano gli auguri per il cagnolino. La “Salerno-Reggio Calabria”, quante volte ne avevo sentito parlare, be’ la mia prima volta fu al contrario la “Reggio Calabria-Salerno”, perché la percorsi tutta a velocità sostenuta, da sud verso nord. Aldo continuava a dormire, Maria Giovanna fece alcune telefonate, poi mi chiese «Hai fame?». Ero affamata. Una mano sul volante e l’altra sulla mozzarella in carrozza più grande e più buona che abbia mai mangiato. Chiacchieravamo e ridevamo di gusto, nonostante l’ansia, che ahimé è una delle caratteristiche più spiccate sia della mia compagna di avventura che mia, e l’apprensione per Aldo. Ogni tanto mi giravo a guardarlo, lui era sereno. Quasi come non averlo. E ogni volta che lo guardavo dicevo a Maria Giovanna: «Comunque, quando uscirà dalla clinica, vi aiuto se avrete bisogno di uno stallo, ma sarà solo uno stallo». Non so quante volte io abbia ripetuto che sarebbe stato solo uno stallo e non so neanche perché. Maria Giovanna rideva. Oggi credo che lei avesse già capito come sarebbe andata a finire… Giunti in clinica, la dottoressa ci venne incontro nel cortile. Ricordo ancora con quanto amore sollevò quel fagottino e lo portò in degenza. Le cure per Aldo furono lunghe. Un mese intero di ricovero, nel quale EBRI gli garantì le cure migliori, con assistenza 24h/24h. Io non potevo fare a meno di andare ogni giorno a trovare quella dolcezza a forma di Bulldog.
Nei giorni successivi i medici mi mostrarono le foto delle ferite, che non avevo mai modo di vedere dal vivo perché erano perfettamente medicate e fasciate. Io parlavo ad Aldo e gli portavo dei premietti di cibo che lui gradiva molto e mi ringraziava con baci sbavosi che io adoravo. Gli dicevo sempre che poteva fare il bullo-mummia con tutte quelle bende. Lui mi metteva il suo bel testone sulla mano e dormiva. Dormiva quasi tutto il giorno. Dolore e stanchezza pregressa lo portavano a essere letargico. I giorni passavano, i progressi, con l’amore di chi se ne occupava, erano all’ordine del giorno. Arrivò il primo video di Aldo che provava a fare due passettini nel cortile della clinica, un’emozione indescrivibile. I miglioramenti erano tangibili, Aldo poteva essere dimesso. I veterinari che lo avevano seguito sino ad allora contattarono quindi Maria Giovanna: «Può continuare le terapie al domicilio». Stefano, mio marito, e io ci offrimmo subito per lo stallo. Era sabato pomeriggio quando andammo a prenderlo. Avevamo predisposto un kennel enorme nello studio di casa nostra seguendo tutte le istruzioni che ci furono date. Aldo doveva essere medicato cinque volte al giorno. Le ferite erano ancora vive. Le medicazioni erano sicuramente fastidiose, ma lui mi guardava con una dolcezza che mi faceva ogni volta vergognare di appartenere alla stessa razza, quella che impropriamente chiamano umana, che gli ha provocato tanto dolore e tanta sofferenza. Lui mi baciava per tutto il tempo, quasi a rendere più sicure le mie mani che tremavano per la paura di fargli male. Io penso sempre che, insieme alle terapie specifiche, niente possa essere più efficace dell’amore. Aldo ogni giorno stava meglio. Cominciava a interagire con Teodora e Margherita, le altre due Bulldog di casa. A lui bastava sentire il tepore di una famiglia, seppur strampalata, ma sempre una famiglia, e si metteva nella sua cuccia, con il suo fedele compagno, il collare elisabettiano, ai piedi del divano, da cui le due zitelle lo guardavano chiedendosi come mai quel “paralume” avesse le zampe e fosse in casa loro… I Bulldog sanno farti ridere anche nelle situazioni più drammatiche.
C’è una scena che ho impressa negli occhi e che per me rappresenta “il miracolo di Natale”. Era la Vigilia: Teodora e Margherita dormivano sul divano, la penombra e le candele alla cannella accese sul tavolino basso, Aldo si era sdraiato sotto all’albero addobbato di cuori e lucine bianche, il suo pancino si alzava e si abbassava cullato dal suo respiro, dormiva sereno. Mi commuove ancora tantissimo pensare a quell’immagine: finalmente era salvo. Finalmente, nonostante la strada non fosse ancora in discesa e nemmeno in piano, per lui si prospettava un futuro.
Nelle settimane successive i miglioramenti erano decisamente apprezzabili. Le ferite si erano rimarginate e le croste cadute. Quest’ultima cosa coincideva con il momento che mi provocò grandi pianti: Aldo era pronto per la sua famiglia per sempre. Che dolore immenso dover scegliere le foto più belle per fare il suo annuncio. Mi sarei separata da lui dopo tre mesi.
Ma avevo già due femmine, che a volte se le cantavano anche in malo modo da “brave” zitelle. Non potevamo tenere anche lui. Passarono due settimane. Non so quanti moduli di richiesta di adozione per Aldo siano arrivati all’Associazione. Ma in me e in mio marito maturava sempre più il desiderio di essere noi la famiglia per sempre di Aldo. Stefano aveva anche un boxer tripode, Ottone, che in quel periodo morì improvvisamente per una brutta recidiva della sua malattia. Ci guardammo, ci capimmo subito. Il dolore fine a se stesso non ha senso. Decidemmo di proporci per l’adozione definitiva di Aldo. Il resto è una bellissima storia che stiamo scrivendo giorno per giorno, non senza difficoltà, ma con quel sentimento che non ci abbandona mai e che può tutto: l’Amore. Aldo per me è racchiuso in un hashtag #aldodallasfaltoalsatin."
Oggi è la giornata internazionale del cane, Aldo vive da quasi cinque anni con noi, è amato e coccolato come ogni cane dovrebbe essere. Chi non ha un cane non ha davvero idea di cosa significhi amore incondizionato. Loro hanno una passione costante, sono sempre felici, a meno che non stiano male, e come ci amano loro, senza filtri, non lo sa fare nessuno. Io sono la persona più felice dell'universo di avere il privilegio di condividere la mia vita con un bulldog tanto speciale.