Black il bulldog inglese bianco
La nostra storia è iniziata il 24 gennaio del 2009 grazie ad un articolo sul giornale locale, una richiesta di adozione per un bulldog inglese di quattro anni che si trovava in canile, abbandonato li, dopo aver subito maltrattamenti di ogni tipo. La mia vita da qualche mese era cambiata completamente: una separazione, il conseguente cambio di casa e di lavoro, in cui l’unico punto fermo e sicuro era Martina, la mia stupenda prima bulldog. Il suo arrivo nel 2002 era stato la realizzazione del mio più grande sogno ed era l'unica certezza del mio nuovo percorso di vita. 

Ma il destino si sa è sempre dietro l'angolo, e quando un'amica mi fece vedere l'articolo del giornale che raccontava la triste storia di un bulldog tutto bianco in cerca di adozione, io non riuscii a resistere e, colpita dal suo dolcissimo sguardo, andai "solo" a vederlo. Era gennaio e faceva tanto freddo, lui era lì da solo in un recinto coperto da una lamiera, gli occhi rossi e una magrezza spettrale. Io e Martina lo guardavamo, era il nostro primo incontro e pregavo che andasse tutto bene. Volevo a tutti i costi portarlo via da li. Martina era una bulletta energica e dominante ma non reagì quando lui le si avvicinò per annusarla, un incontro breve e delicato. Io restai ferma immobile in silenzio e con il fiato sospeso, finché lui non rientrò nel suo recinto come se si fosse rassegnato a dover rimanere lì per sempre. Il responsabile della struttura mi raccontò la sua storia, i maltrattamenti che aveva subito, l'abbandono in canile perché diventato "aggressivo", i due tentativi di adozione falliti, il dolore di un'anima che nella vita aveva solo sofferto. Tornai a casa con il cuore gonfio e la testa piena di dubbi e domande. La mattina dopo nevicava forte e io avevo un solo pensiero: quel bulldog dallo sguardo triste che era là fuori al freddo e aspettava solo un'altra occasione Salii in macchina con un collare nero pieno di Swarovski di Martina e andai a prenderlo, firmai i moduli dell'adozione, presi il suo libretto, lo caricai in macchina e sotto una fitta nevicata iniziò la nostra vista insieme. Il suo nome sul libretto era Chester, ma chissà per quale motivo era stato chiamato Black, nonostante fosse tutto bianco. Black entrò con prepotenza nella nostra quotidianità. Non fu affatto facile gestirlo, aveva mille paure, odiava gli uomini alti, era terrorizzato dai rumori forti, era dominante e decisamente grosso. Sì, perché quando arrivò a casa era solo ventun chili, ma in breve tempo con la cucina di sua nonna era aumentato di peso e la sua struttura era diventata imponente. Ma nonostante tutto io e lui, fin dalla prima sera passata insieme, ci scambiammo una promessa, qualunque cosa fosse successa, non lo avrei mai lasciato solo, il nostro sarebbe stato un vero “per sempre”. Martina ad agosto per una grave patologia, purtroppo, ci lasciò, e dopo solo sette mesi Black si ritrovò senza la sua compagna di giochi. Fu proprio in quell'occasione che capii quanto quel gigante bianco che avevo accanto fosse un essere speciale. Martina la seppellii nella campagna di un amico, e il giorno dopo tornai con una piccola croce e dei fiori per lei. Portai anche Black con me e quando arrivammo nella tenuta fece una cosa che mi lasciò senza fiato.  Pur non sapendo dove era stata sepolta Martina, lui andò diretto in quel punto e li si sdraiò. Per anni Black appena entrato dalla porta di casa continuò ad andare in camera sotto il letto a cercare la sua Martina, perché li lei si metteva. Ho sempre pensato che lui la vedesse ancora, che sentisse la sua presenza, il suo spirito.

L'arrivo di una nuova sorellina con cui giocare lo fece tornare cucciolo, felice e spensierato come non era mai stato. Le sue paure con il passare del tempo si erano indebolite e avevano fatto spazio ad una nuova fiducia, complice Sophie, la bulldog inglese e il nuovo arrivato Ercole, un chihuahua minuscolo tutto pepe. Il passato ormai era solo un brutto ricordo. Il dolore, il freddo, le percosse subite per anni avevano però lasciato nel suo cuore una sensibilità ed una capacità innata nel percepire la sofferenza altrui. Negli anni ogni mio pianto, ogni mio dolore è sempre stato supportato dalla sua dolcissima zampa che mi chiamava, come per dire non preoccuparti ci sono io vicino a te, adesso è il mio turno di starti accanto mamma. Ho tanti ricordi bellissimi degli anni passati insieme a Black, la sua passione per le passeggiate infinite, per i parchi, per gli alberi, per la neve, la sua passione per la vita. Quella vita per cui ha lottato fino al suo ultimo respiro, non voleva lasciarla andare, non voleva lasciarci, non voleva sentire il nostro dolore.Ma quel giorno purtroppo è arrivato, e ho dovuto decidere io per lui. La malattia piano piano me lo stava portando via, perdeva peso, era diventato incontinente e due volte al giorno andava cambiata la fascia con il suo pannolino, andava pulito e asciugato, imboccato, curato, amato, se è possibile, ancora più di prima. Il nostro legame in tutto questo diventava ogni giorno più forte. Finché una mattina il mio gigante buono non riuscì più ad alzarsi dalla cuccia, e quando dalla sua bocca uscì un grido di dolore straziante, capii che il suo cuore non avrebbe mai mollato, ma dovevo pensarci io a porre fine alla sua sofferenza. Chiamai il mio compagno, che negli anni aveva condiviso con me l'amore per Black, perché volevo che fossimo tutti accanto a lui, glielo dovevamo. All'una arrivò il veterinario a casa, e Black il 18 aprile del 2016 se ne andò, i suoi occhi nei miei, le nostre carezze fino al suo ultimo respiro. Glielo avevo promesso, insieme per sempre, e l'ultima cosa che ha visto sono stati i miei occhi, l'ultima cosa che ha sentito è stata la mia voce. Ero senza forze, svuotata, era come se mi avessero strappato via il cuore. Restava ancora un'ultima cosa da fare: la cremazione di quello che era stato il mio gigante buono per poterlo poi riportare a casa con noi per sempre. Luigi, il mio compagno, che è un militare, gli mise la maglietta del suo reggimento perché disse “la meritava”, aveva vissuto e se n'era andato come un guerriero. E poi ce lo riportammo a casa nella sua scatoletta come iniziai a chiamarla io. Per molto tempo non riuscii a staccarmi da quella scatoletta, la portavo ovunque, la stringevo, la coccolavo, la baciavo. Era sempre lui in un'altra forma. Adesso è vicino alla scatoletta di Sophie, vicini come erano stati per otto anni di vita felice insieme. Grazie amore mio grande per tutto quello che hai fatto, per avermi insegnato ad amare, per avermi insegnato il giusto valore delle più piccole cose, per avermi fatto capire che in quel freddo giorno di gennaio sei stato tu "solo un cane" a salvare me. Stefania

Se anche tu vuoi raccontarci la storia del tuo bulldog, scrivi a info@bullfitfashion.com

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