Mimmo, il bulldog inglese adottato e il giorno 6
Il giorno 6. Un numero che vorrei dimenticare. Dal 6 giugno scorso, ogni 6 del mese rivivo quello che per me è stato e continua ad essere un incubo. Per molti sembrerà follia, ma per me è solo un dolore che devo ancora guardare in faccia, che devo ancora fare mio del tutto. Che faccio fatica a lasciarmi alle spalle e spero che scriverne mi aiuterà un po'. Il 6 giugno ho perso Mimmo, il mio bulldog Inglese.

La prima volta che ho visto il suo muso mi si è fermato il cuore. Avevo già un bulldog: una bulletta di due anni, Pina. E due gatti, Xeena e Leon. Ma mi frullava in testa l'idea di averne un altro e leggevo di tanti che restavano soli per le ragioni più diverse. Giravo sui siti delle adozioni e improvvisamente mi è comparsa la foto di un bullo sdraiato a terra: sporco, magro, con gli occhi vuoti. Mimmo, il bullo calabrese di Reggio. Emaciato, mezzo cieco, molto sordo. Quasi completamente, in realtà. Credo di non averci pensato nemmeno un minuto contato. Ho scritto un messaggio sotto la foto. Da quel momento sono trascorsi cinque mesi. Cinque mesi di paure, interrogativi, questionari, attesa e agitazione vera. Credevo di non essere all'altezza, credevo di non far contenti gli animali in casa, e di far soffrire tutti. Il 9 novembre, Mimmo è arrivato. Si è aperta la porta del trasportino. È apparso un testone bianco. Guardava dritto davanti a sé Mimmone. Fiero, silenzioso. Abbiamo fatto un giro, siamo saliti in auto. Via, a casa. Dire che i primi tempi sono stati difficili è dire poco: disorientato, sballottato forse, odiava i gatti, interagiva poco e niente con Pina. Io disperata. Si era avverata la più grande delle mie paure. Avevo stravolto tutto per niente. Ho dormito su un materasso in terra accarezzandolo, per tenerlo quieto mentre lui affannava. Uscivo al buio del mattino presto: solo io e lui per dargli modo di abituarsi alla mia presenza. Volevo sapesse che sarei rimasta con lui sempre fino all'ultimo. Era a casa, doveva saperlo. Sveglia presto, cibo e uscite. Piano piano, giorno dopo giorno. Capiva. Casa sua  dove nessuno gli avrebbe tolto nulla, ma solo dato. Tutto. Ha iniziato a diventare la mia ombra. Sempre. Doveva sempre, necessariamente esserci una parte di me che lo toccava, quando non facevo nulla.

Fosse una mano, un pezzo di braccio, una gamba. Sennò, al massimo un metro. Non di più. Porta socchiusa? Testata ed entrava. E si sdraiava a rana. Fosse stata un ora o un minuto. Se io non c'ero, si attaccava a Pina. Io ho imparato cosa lo spaventava. Lo potevo abbracciare ma non troppo stretto. Si ribellava, mi mordeva con i suoi dentoni spezzati, ma poi mi chiedeva scusa strofinando il testone contro di me. Giocavamo anche, alla fine, era un capoccione sdentato, ma felice. Con i suoi momenti in cui si fermava, fissando il vuoto. Fare i conti con un passato che non sai, è complicato. Ci vuole impegno, ci vuole un amore smisurato. Sono stati giorni difficili, faticosi da ogni punto di vista, ma se devo pensare ad un periodo della mia vita più bello o istruttivo, penso ai mesi insieme a lui. Rifarei tutto, rivivrei ogni singolo istante. Se ne è andato la sera del 6 giugno del maledetto 2020. Sette anni di sofferenza, fame, privazioni, crudeltà, sette mesi con me: un mese di profondo amore, di cura e attenzioni per ogni anno trascorso da infelice. So che quello che ho dato a lui è stato solo una minima parte di quello che meritava. Ma è stato amore, vero, profondo Quello che lui mi ha insegnato e lasciato, è molto, molto di più. L' amore e la pazienza, sono una medicina potentissima, riparano le anime ferite, fanno miracoli anche quando cammini al buio. E lui è stato il mio piccolo miracolo. È ancora con me. Ho scelto di averlo a casa. È stato troppo solo e non voglio lo sia poi più. Ma lo è anche nel cuore. Quello è il posto da cui non se ne andrà mai più. Mimmone, il mio testone bianco. Il mio angelo. Sempre, per sempre.

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